POLONIA: Arrestato il Breivik polacco. Stava per far saltare in aria il Parlamento

Il mio articolo per East Journal sull’estrema destra Polacca e il fallito attentato contro il Sejm… → Qui il testo completo dell’ articolo

Catalogna, indipendenza o bluff? La Spagna merita di restare unita

 

 

Domenica prossima, 25 di Novembre, la Catalogna celebrerà elezioni legislative anticipate. Si tratta di uno scrutinio estremamente importante per il futuro, non solo della Catalogna, ma anche della Spagna in generale. Queste elezioni intervengono, infatti, in un contesto di grave crisi economica e politica. Una crisi politica che é stata scatenata dal President del governo della comunità autonoma della Catalogna (la Generalitat de Catalunya), Artur Mas, il quale ha affermato che durante la prossima legislatura il suo governo chiederà al parlamento catalano di indire un referendum unilaterale sulla secessione della Catalogna dal Regno di Spagna.

I sondaggi pronosticano una facile vittoria per Convergència i Unió (CiU, la coalizione nazionalista guidata da Mas), un crollo del Partito Socialista, un buon risultato del Partito Popolare (PP, il partito del Primo Ministro Spagnolo Mariano Rajoy che potrebbe diventare, per la prima volta, il primo partito dell’opposizione) e dei verdi dell’ IcV, e un’ importante ascesa sia degli ultra-indipendentisti di ERC (Esquerra Republicana de Catalunya), che degli anti-indipendentisti di Ciutadans. Non pare, invece, probabile che CiU ottenga, come spera, la maggioranza assoluta dei seggi. Ad ogni modo Mas ha già affermato che se CiU vince le elezioni metterà subito in moto il processo indipendentista. Se lo fa, la crisi passerà da politica a istituzionale e si aprirà uno scenario complesso le cui conseguenze sono attualmente imprevedibili.Indipendenza o Bluff?

Lo scorso maggio la deputata del partito nazionalista canarioCoalición Canaria, Ana Oramas, scatenò un piccolo terremoto politico in Spagna quando rivelò il contenuto di una conversazione che ebbe con l’attuale ministro delle finanze, Cristobal Montoro, durante quei terribili giorni del maggio del 2010 in cui la Spagna passò a un pelo dal default. Oramas ha raccontato che quando rimproverò a Montoro l’opposizione del PP al pacchetto di misure d’urgenza varato dal governo Zapatero per salvare il paese, Montoro le rispose: “Que caiga España, que ya la levantaremos nosotros” (Che la Spagna cada! Che poi la rialzeremo noi!). In quell’occasione la Spagna, e l’euro, furono salvati dai nazionalisti canari e catalani, da Coalición Canaria e da CiU. Oggi, però, CiU ha lanciato una sfida senza precedenti allo Stato e minaccia con rompere l’unità nazionale spagnola. Sono in molti a non comprendere come sia possibile che la stessa formazione politica che, durante gli ultimi 35 anni, é stata, in molte occasioni, maestra di moderazione e buon senso (CiU, in fin dei conti, é una coalizione di borghesi e imprenditori poco propensi alle avventure e ai salti nel vuoto) si ritrovi adesso in rotta di collisione con il governo centrale.

Recentemente su East Journal apparso un interessante articolo in cui ha sostenuto che CiU utilizza l’indipendentismo per distrarre dalla crisi. Questa é anche la posizione di tutta la stampa di sinistra di Madrid che ripete incessante che quello della secessione é solo un bluff e che in realtà Mas sta usando l’indipendentismo per far dimenticare il bilancio disastroso dei suoi due anni di governo. Chi scrive ritiene, invece, che quello che succede in Catalogna non può essere spiegato solo facendo riferimento alla politica dell’istante o all’esegesi delle dichiarazioni di Artur Mas (Mas, per di più, non aveva bisogno di ricorrere all’indipendentismo per vincere le elezioni. L’opposizione catalana é debole e la maggior forza dell’opposizione, il Partito Socialista, vive una profonda crisi interna).

Ortega y Gasset diceva che quello che lui chiamava il “problema catalano”, é un “problema perpetuo”, un “fattore continuo nella storia della Spagna”. Quanto sta avvenendo oggi può essere meglio compreso se é inserito nel quadro della “storia lunga” della Catalogna e, al tempo stesso, nel contesto della storia Spagnola dell’ultimo decennio. Durante gli ultimi anni, infatti, la crisi del socialismo catalano, prima, e quella economica, poi, hanno agito da acceleratori di un processo storico complesso le cui radici risalgono almeno al XVII secolo.

La crisi economica… e quella del socialismo

La crisi del PSC (il Partito Socialista catalano che forma parte del Partito Socialista spagnolo, il PSOE), ha giocato un ruolo fondamentale in questa crisi. L’essere pro-nazionalista é stato un elemento fondante dell’identità della sinistra spagnola dalla fine del franchismo in poi. Il PSOE, che é stato una delle delle colonne vertebrali della Spagna moderna, ha cessato gradualmente di essere un grande partito nazionale per trasformarsi in una somma di partitini locali succubi, spesso, del nazionalismo di turno. In Catalogna il socialismo ha ceduto ideologicamente e politicamente al nazionalismo adottandone la narrativa e gli ideali. Questo ha supposto la sparizione della più importante forza politica catalana pro-spagnola e ha generato un’egemonia nazionalista nel discorso pubblico catalano. Il risultato é che oggi, in Catalogna, essere indipendentista é la normalità. Tutti i media sono pro-nazionalisti. Fatta eccezione per il PP e Ciutadans tutto lo spettro politico é, se non favorevole all’indipendenza, almeno nazionalista. Persino gli adorabili ecologisti dell’IcV, che sono tutto peace&love, si sono dichiarati a favore dell’indipendenza!

A questa crisi del PSC e alla conseguente egemonia sociale e culturale nazionalista si é sommata, poi, la crisi economica micidiale in cui il paese é precipitato nel 2008. La crisi economica, e le politiche recessive che sono state adottate per farvi suppostamente fronte, hanno devastato il paese. La Spagna é passata da un boom economico spettacolare al più atroce dei bust. Senza la crisi economica, e le misure draconiane imposte da Bruxelles e Berlino per farvi, dicono, fronte, la crisi politica attuale non sarebbe mai avvenuta: la Germania e l’UE porterebbero un’enorme responsabilità storica in una eventuale rottura della Spagna.

Per il nazionalismo la crisi economica si é trasformata, infatti, in un’ insperata occasione d’oro per rompere lo status quo determinato dalla costituzione democratica del 1978. Come disse Ortega nel 1932, nel suo famoso discorso alle “Cortes Constituyentes“ della repubblica sul primo Statuto della Catalogna: “Uno stato in decadenza fomenta i nazionalismi”. É quello che successe durante la Seconda Repubblica ed é quello che sta succedendo oggi. Per Artur Mas la manifestazione “Catalunya, nou estat d’Europa” (Catalogna nuovo Stato d’Europa) che ebbe luogo durante la Diada (la festa nazionale catalana) lo scorso 11 di settembre, pare essere stata un turning-point. Si ha l’impressione che da allora il President abbia cominciato a vedersi come il padre fondatore della Catalogna indipendente, l’uomo che realizzerà il sogno secolare dei catalani di ottenere uno stato proprio.

Conclusione

Per Madrid un referendum sull’indipendenza della Catalogna sarebbe illegale e incostituzionale. Il governo spagnolo ha già annunciato che chiederebbe alla Corte Costituzionale di bloccarlo ma Mas ha risposto affermando che andrà avanti in ogni caso, e ha aggiunto che “né i tribunali né la costituzione” lo fermeranno. É impossibile sapere quello che accadrebbe se il governo catalano decidesse davvero di ignorare una sentenza della Corte Costituzionale. Gli indipendentisti affermano che Madrid non potrà che cedere davanti alla “volontà popolare”. Ma Madrid potrebbe, invece, decidere di intervenire per far applicare la sentenza e difendere la legalità vigente. Che accadrebbe allora? Molto dipenderà dal risultato della coalizione nazionalista nelle elezioni del 25 di novembre. Non si può neppure escludere che alla fine CiU torni al tavolo delle negoziazioni col governo centrale per cercare di ottenere da Rajoy una maggiore autonomia fiscale, il cosiddetto “Patto Fiscale”. Indipendentemente da ciò che avverrà domenica e nei prossimi mesi, alcune cose sono, però, certe:

La prima é che la Spagna e l’Europa necessitano un cambio radicale di politica economica. L’attuale strategia dell’austerità a vita porta, come non cessano di ripetere i leader sindacali spagnoli, al “suicidio economico e sociale”; La seconda é che l’attuale crisi politica e il prevedibile disastro elettorale di domenica dovrebbero far infine comprendere al PSC (e al PSOE) che la Spagna e la Catalogna hanno bisogno di una sinistra non-nazionalista forte che rompa il monopolio del discorso nazionalista in Catalogna e faccia quello che il PSC fece per molti anni: costruisca ponti tra Madrid e Barcellona. La terza, e ultima, é che la rottura dell’unità nazionale spagnola, anche nel caso che avvenisse nella calma e senza una guerra civile, sarebbe una tragedia e un disastro, tanto per la Spagna, come per la Catalogna (soprattutto per la Catalogna che si ritroverebbe fuori dall’Unione Europea e in pieno marasma economico). Il mondo sarebbe peggiore senza una Spagna unita. La Spagna non merita di finire così.

La situazione delle comunità LGBTQI in Europa Centro-Orientale: Albania

Il mio articolo per la rubrica Homo Wiadomo di East Journal sulla situazione della comunità LGBT in Albania… → Qui il testo completo dell’ articolo

POLONIA: Legge “bavaglio” alla polacca. I giornali protestano

Il mio articolo per East Journal sulla polemica generata in Polonia da una infausta proposta di riforma della legislazione sulla stampa … → Qui il testo completo del’ articolo

La situazione delle comunità LGBTQI in Europa Centro-Orientale: Albania

1Come ha notato l’attivista del gruppo LGBT Pink Embassy/LGBT Pro Albania, Altin Hazizaj, il 17 maggiosarà un giorno speciale, la bandiera LGBT sarà issata per la prima volta a Tirana”. Tra pochi giorni, infatti, l’Albania celebrerà, in occasione della Giornata internazionale contro l’omofobia (IDAHO), il primo Gay Pride della sua storia. La marcia sarà accompagnata da una serie di iniziative culturali, mostre, dibattiti, concerti, proiezioni di film e uno spot contro l’omofobia che sarà trasmesso in tv.

Mi sono già occupato delle vive polemiche che hanno accompagnato l’annuncio di questa importante manifestazione in un recente articolo pubblicato su East Journal. In questo post tenterò di offrire una visione d’insieme sulla situazione che gay, lesbiche, transessuali, bisessuali, intersessuali e queer vivono in questo paese.

La Repubblica d’Albania (Republika e Shqipërisë in albanese) conta poco più di 3 milioni di abitanti e confina a nord-ovest con il Montenegro, a nord-est con il Kosovo, a est con la Macedonia e a sud con la Grecia; le sue coste si affacciano sul Mar Adriatico e sullo Ionio. L’attuale Primo ministro è il leader del Partito Democratico d’Albania (Partia Demokratike e Shqipërisë, PD) Sali Berisha, che presiede un governo di coalizione tra partiti di centro-destra, mentre il Presidente della Repubblica è un altro dei leader storici del PD, Bamir Topi.

La situazione delle comunità LGBT albanese resta precaria e difficile, pur a dispetto di alcuni cambiamenti significativi che sono avvenuti negli ultimi anni: Le relazioni omosessuali furono legalizzate nel 1995 e nel 2010 il parlamento ha approvato un’ importante legge contro le discriminazioni che vieta ogni discriminazione, anche quelle sulla base dell’identità di genere e l’ orientamento sessuale. La misura é stata celebrata a giusto titolo dalla comunità internazionale e dalle istituzioni europee. Purtroppo, però, non esiste riconoscimento giuridico alcuno per le coppie e famiglie LGBT. Né sono previste procedure che permettano alle persone che si sottopongono ad una operazione di riattribuzione chirurgica di sesso di ottenere il riconoscimento amministrativo del cambio di genere.

Nell’ultimo “Rainbow Indexelaborato recentemente da ILGA-Europe il Shqipëria (Paese delle Aquile) ha ottenuto +6 punti (come Bulgaria, Francia, Romania e Serbia)  in una scala che va dal -4,5 della Moldova e della Russia al +21 del Regno Unito.

Omofobia Sociale

L’omosessualità é, per molti, ancora un tabù. L’omofobia sociale resta, infatti, uno dei maggiori problemi per la comunità LGTB. Un buon esempio del peso dell’omofobia sono i gravi incidenti che, nel 2010, seguirono il coming-out pubblico di Klodian Çela, un concorrente del Big Brother albanese. Il coming-out di Çela provocò, infatti, una vera e propria rivolta nella sua città natale, Lezhë. Centinaia di persone salirono per strada gridando “Lezhë é pulita. Non ci sono omosessuali da noi”. Le manifestazioni di Lezhë sono un caso estremo, ma la comunità LGBT é quotidianamente vittima  di gravi violenze, che si dirigono soprattutto contro la comunità Trans. Un fatto che é stato riconosciuto anche dal 2011 Progress Report on Albania elaborato dalla Comissione Europea. Il Rapporto elogia l’approvazione di misure contro le discriminazioni ma nota che molto resta ancora da fare per garantire il pieno riconoscimento dei diritti della comunità LGTB. Il rapporto nota inoltre che l’omofobia sociale é ancora molto forte e che le persone trans sono, in particolare, vittima di gravi violenze e insta le autorità locali a applicare pienamente le norme che hanno approvato. L’associazione Pink Embassy/LGBT Pro Albania ha raccolto e denunciato molti di questi casi di discriminazione in un dettagliato rapporto che ha presentato qualche mese fa.

…alimentata da Politici e Religiosi.

Recentemente hanno avuto grande eco, anche all’estero, le dichiarazioni del vice-ministro della difesa Ekrem Spahiu, che ha dichiarato al quotidiano “Gazeta Shqiptare” che l’unica cosa che gli faceva venire in mente l’idea di un Gay Pride era che i gay “dovrebbero essere presi a manganellate”. Ma le dichiarazioni omofobe di Spahiu sono lungi dall’essere un caso isolato. Troppo spesso politici (purtroppo anche di sinistra), religiosi e funzionari pubblici alimentano l’odio con dichiarazioni omofobe di una estrema violenza. Nel 2010, durante la giornata mondiale contro HIV/AIDS, il vice presidente della Commissione parlamentare sul Lavoro, Affari Sociali e Salute Tritan Shehu, dichiarò che “l’omosessualità deve essere trattata dai medici con gli ormoni e con cure psicologiche” (affermazioni per le quali Shehu é stato condannato).

I gruppi religiosi locali svolgono un ruolo altrettanto deleterio. Le organizzazioni islamiche (l’islam é la religione maggioritaria) considerano gli omosessuali “carne straniera” e una “minaccia per i fondamenti della famiglia”, e l’immancabile chiesa cattolica non manca mai di ripetere che “l’omosessualità é contro l’ordine naturale e la morale della società”.

Una situazione in evoluzione.

Nonostante le difficoltà, però, la situazione pare stare evoluendo nella buona direzione. Le dichiarazioni di Spahiu sono state immediatamente condannate dal primo ministro Sali Berisha che ha sottolineato che “l’Albania e’ un paese libero e nessuno puo’ pensare che noi limiteremo le manifestazioni”. Negli ultimi anni Sali Berisha ha mantenuto, almeno a parole, un atteggiamento positivo verso la comunità LGBTQI. Nel 2009 il politico conservatore albanese sorprese il mondo annunciando che il suo governo intendeva approvare una legge sul matrimonio tra persone dello stesso sesso (l’annuncio provocò la furibonda reazione delle organizzazioni religiose e alla fine Berisha fu costretto a rinunciare al suo progetto). Quella discussione pose il tema dei diritti civili al centro dell’agenda politica e, sopratutto, contribuì a aprire un dibattito su questo tema in un paese dove, come abbiamo visto, questo é lungi dall’essere facile. Come ha dichiarato l’attivista Altin Hazizaj in un’ intervista: “in altre zone del mondo le attitudini verso l’omosessualità cominciarono a cambiare nel 1968, in Albania abbiamo cominciato nel 2010

Negli ultimi anni Pink Embassy/LGBT Pro Albania ha moltiplicato le iniziative. L’organizzazione sta monitorando l’applicazione, non sempre soddisfacente, della legge contro le discriminazioni e ha dichiarato che farà ricorso contro il codice sulla famiglia che, in violazione della costituzione albanese, proibisce il matrimonio egualitario. Il mero fatto che l’Albania stia per celebrare un Pride sul suo suolo é prova dei cambiamenti in atto nella società albanese. Questo successo é frutto dell’eccellente lavoro che gli attivisti del movimento LGBTQI albanese sono venuti facendo, in circostanze spesso molto difficili, negli ultimi anni.

Buon Pride al movimento e alla comunità LGBTQI Albanese!

Copyright © 2012 Eitan Yao.

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ps: Visto che  ormai mancano pochi giorni al festival musicale più deliziosamente gay del pianeta (parlo dell”Eurovision Song Contest, naturalmente!) vi lascio con il video di Suus, la canzone con la quale Rona Nishliu rappresenta l’Albania:

MONTENEGRO: Resoconto da un paese gay-friendly

Il mio articolo per East Journal sulla situazione della comunità LGBT in Montenegro ( NB: il titolo dell’articolo é stato scelto dalla redazione…io non definirei mai il Montenegro come un paese “gay-friendly”) .… → Qui il testo completo dell’articolo

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